#32-bis: ERRATA CORRIGE
Dove per una volta si va sul personale e si pondera il valore di due parole che si usano comunque sempre troppo poco: "scusa", e "grazie".
Qualche tempo fa, mi sa che è passata una settimana ma forse anche di più, mi ha scritto L., che è una molto attenta, e mi ha fatto notare una cosa di cui vi sarete già accorti tutti perché siete tipi svegli.
C’è un errore nella puntata precedente della newsletter (#32), perché il link all’episodio su Spreaker non rimanda alla terza parte della puntata “Una terra di miracoli”, ma alla prima.
Le newsletter sono una gran cosa. Hanno però un problema: quando le spedisci non si possono modificare, quel che è fatto è fatto, gli errori restano.
Io cerco di stare attento ma come direbbero qui, eh, jebiga.
Ci ho riflettuto perché da una parte non voglio ammorbarvi di mail; dall’altra, giustamente, come mi è stato fatto notare, se ti piace una cosa, è giusto rimetterci mano spesso e volentieri.
Ci ho riflettuto per giorni, in effetti, se avesse senso scrivervi una mail di rettifica oppure no, e ovviamente più passavano i giorni, meno senso aveva scrivervi.
Poi ho pensato: ok, mandiamo questa mail, perché è davvero bello avere qualcosa a cui si tiene, e anche perfezionarlo e condividerlo. Però visto che ci siamo, diciamo anche qualcos’altro. Diciamo due parole che lì fuori nel mondo vero, a differenza di tutto il resto pare, non sono a rischio di inflazione:
scusa, e grazie.
Scusa. C’era un errore e non l’ho corretto. Lo faccio ora, sapendo che è troppo tardi ma in fondo anche un po’ sperandolo (e che l’ultima puntata che ho pubblicato tu l’abbia già ascoltata senza problemi).
Ascolta l’episodio #32 di Pappagalli, “Una terra di miracoli - terza ed ultima parte”, finalmente al link corretto di Spreaker.
(Mamma mia speriamo che il link stavolta sia quello giusto, sennò sai che figura.)
Ecco, mi sono detto che già che c’ero, magari aveva senso parlare di questo progetto, e parlare di noi, e spiegare il perché di questa newsletter, e il motivo per cui questo podcast non è su Facebook e non è su Instagram e non è su TikTok.
Quando ho iniziato Pappagalli, ho voluto fare le cose diversamente, e cioè: ALLA LARGHISSIMA dai social network.
Io non sono su nessun social, tranne Twitter, che comunque uso pochissimo. Anche se un po’ ho pudore a definirla così, mi sa tanto che è una scelta politica.
Se siete qui, è probabilmente perché qualcuno vi ha parlato di questo podcast oppure perché ci conosciamo personalmente.
Ovviamente questa è una scelta che impone a Pappagalli uno scotto in termini di ascolti. Se non sei su Facebook, abbiamo sentito ripetere nel corso degli ultimi dieci anni, non esisti.
Qualche settimana fa, al bar con T., lui mi ha chiesto, giustamente: ma con il lavoro che richiede una puntata di Pappagalli, non ti piacerebbe farla ascoltare a molte più persone?
Beh, uhm, sì e no.
Non ho una risposta valida a questa domanda, anche se qui sto tenendo un po’ un concione, lo so, chiedo scusa. Si dice che il tempo renda saggi ma in realtà più passano gli anni e più dubbi mi vengono.
Però, per scomodare un gigante come David Foster Wallace in un discorso gigante, nella vita l’importante è scegliere a cosa vogliamo pensare.
(Qui c’è la traduzione in italiano, ma se potete ascoltate l’originale, che merita)
Posso pensare che se lavoro a un episodio di Pappagalli è perché desidero che lo ascoltino diecimila persone invece che mille, o cento, o dieci (all’inizio-inizio-inizio era così).
Oppure posso pensare che ho lavorato a un episodio di questo piccolo podcast perché grazie a Pappagalli sono entrato in qualche modo in contatto con persone che non avrei conosciuto se fossi rimasto, come in un confinamento per fortuna ormai lontano nel tempo e nella prospettiva, chiuso nel mio appartamento di Sarajevo.
Posso scegliere di concentrarmi sulle statistiche, sui like. Oppure posso scegliere di pensare a te che mi ascolti, che magari dopo una giornata assurda al lavoro hai deciso che massì, un episodio ci stava, e hai allungato una mano per prenderti una birra e forse lo hai dovuto persino lasciare a metà, perché avevi preso sonno nel frattempo.
Credo sia una sensazione migliore, nel mio piccolo. In effetti, col cavolo che farei a cambio.
Per questo, e anche se hai deciso di leggere fino a qui: grazie.
Fate i bravi! Vi vogliamo bene!