Ciao! Buon venerdì!
(A volte quella cosa del venerdì capita ancora)
Spero tu stia bene. E’ di nuovo quel periodo dell’anno in cui sono tutti in vacanza, e non c’è niente da ascoltare (magari sei in vacanza pure tu, e in quel caso chissà, magari non c’è nemmeno l’ascoltatore). A tenerti compagnia in villeggiatura o nella tua rovente città d’agosto, c’è comunque l’ultima puntata di Pappagalli, fresca fresca, eccola qui.
E che poi non si dica, “nemmeno una cartolina!”
In questa puntata: “we might be through with the past, but the past ain’t through with us.”
Ascolta l’episodio #48 di Pappagalli, “Torna a casa, Hiroo!”, per il momento su Spreaker (mi sa che Spotify sta avendo problemi).
Cambiare un’idea
Si può vincere una guerra e poi
e forse anche da solo
Si può estrarre il cuore anche al più nero assassino
ma è più difficile cambiare un’idea.
(I Litfiba una volta scrivevano dei pezzoni)
Ho sempre pensato che la coerenza fosse una finta virtù e che il segno di una persona veramente intelligente sia la sua disponibilità ad ammettere di essere nel torto, di non sapere le cose, e sì, in definitiva, di cambiare idea. Le cose cambiano, le persone non sono immutabili, niente nell’universo è scritto nel marmo, ed è la cosa più normale del mondo cambiare punti di vista, trovarne di migliori, adottarne di alternativi.
In effetti, io anche nei discorsi di tutti i giorni non ho mai sentito nessuno dire: “x è una persona intelligente e per di più coerente”; mentre ho sentito molto spesso dire: “eh sì, y è una persona stupida, ma almeno è coerente”. Un po’ come se la coerenza fosse, mi perdonerai l’espressione, l’ultima spiaggia degli imbecilli. Un valore che si riconosce quando tutto il resto ce lo siamo giocati.
Eppure, cambiare idea richiede un grande coraggio. Ci vuole molta forza, ad ammettere di essere stati nel torto.
Bene: la storia che racconto in questa puntata è una specie di cautionary tale, di favola contro la coerenza. Parla di un soldato giapponese, Hiroo Onoda, che rimase a combattere nella jungla delle Filippine per trent’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Perché, signori miei, io ho ricevuto degli ordini.
Per preparare questa puntata mi sono servito di questi libri:
Onoda, seul en guerre dans la jungle, di Bernard Cendron e Gérard Chenu, Artaud Poche.
Japanese Army Stragglers and memories of war in Japan, 1950-1975, di Beatrice Trefalt.
Homecomings: the belated return of Japan’s lost soldiers, di Yoshikuni Igarashi.
E anche per questa volta è tutto!
Fate i bravi, possiate non perdervi mai in nessuna jungla, vi vogliamo bene!