#52 L'UOMO CHE RICORDAVA OGNI COSA
In questa puntata: ricordare tutto è una faccenda un po' pesante.
Ciao! Buon giovedì!
Quattro anni fa, di questi tempi, cominciavo a lavorare a Pappagalli. Anche se il ritmo di pubblicazione è diventato un più altalenante (in fondo, verrebbe da dire anche un pochino per fortuna: vuol dire che lì fuori non c’è più una pandemia in corso1) sono felice che questo podcast stia bene e lotti in mezzo a voi.
Pare che nel fine settimana pioverà un po’ ovunque - spero che possiate approfittare della grigliata del lunedì di Pasqua, ma metti che continua a piovere, almeno con questa puntata passate una mezz’oretta.
In questo episodio: il passato è una terra straniera.
Ascolta l’episodio #52 di Pappagalli, “L’uomo che ricordava ogni cosa”, su Spreaker oppure su Spotify.
Scegliere una storia per Pappagalli, di solito, è una cosa un po’ complicata.
(Ok non è ingegneria spaziale eh, ma) Mi piace selezionare storie di cui non si è sentito molto parlare (almeno in Italia). Sono anzi molto contento quando qualcuno tra gli ascoltatori di questo podcast poi magari mi scrive linkandomi un articolo a una storia dicendomi “ma io la sapevo già grazie a Pappagalli”.
Stavolta ahimé è successo quello che prima o poi doveva succedere, ovvero: un giornale italiano che io leggo molto (Il Post) ha scritto della stessa storia che io stavo per raccontare, soltanto qualche giorno prima che io terminassi di registrarla (qui il link all’articolo originale).
KATASTROFA.
Che fare? Per un po’ ho pensato di buttare via tutto e mettermi a cercare qualcos’altro. Poi però ho capito che questo avrebbe significato pubblicare la nuova puntata a metà aprile, come minimo, e ‘sta cosa mi dispiaceva. Così ho deciso di ascoltare il mio Galvano interiore, per una volta, e di dirmi: pazienza dai, prendila con filosofia - non sarà così grave, vero?
Vero? 😬
Così ho deciso di raccontare comunque la storia di Solomon Shereshevsky, un uomo vissuto all’inizio del novecento in Unione Sovietica, che era benedetto (o maledetto: son punti di vista) da una qualità fuori dal comune - riusciva a ricordare tutto.
La storia di Solomon Shereshevsky è raccontata in diversi libri. Penso di averne sentito parlare la prima volta (l’ironia è che non ne sono sicurissimo perché, per l’appunto, potrei ricordarmene male) in un libro molto bello (e assai famoso) scritto dal neurologo britannico Oliver Sacks, ‘L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello’.
Per preparare questa puntata, però, mi sono basato soprattutto su due testi.
Il primo è il resoconto fatto in prima persona da Aleksandar Lurija, lo psichiatra sovietico che esaminò il caso di Solomon Shereshevsky, che lui chiama sempre “ш.”, cioè “sh”. Il libro fu un piccolo caso editoriale negli anni sessanta e si intitola ‘Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla’. Lo trovate pubblicato da Mondadori.
Il secondo testo è un lungo profilo fatto da un giornalista del New Yorker, Johnson Reed, intitolato ‘The mystery of S., the Man with an Impossible Memory’. Mentre il testo di Lurija è un resoconto clinico, Reed si sofferma di più sulla vita privata di Solomon Shereshevsky, una vita per niente facile e con una fine piuttosto tragica (che io, nel podcast, ho deciso di omettere: purtroppo Solomon morì di alcolismo).
Per raccontare dei difetti della memoria, e soprattutto del fenomeno dei falsi ricordi, mi sono basato su due studi scientifici:
‘A picture is worth a thousand lies: Using false photographs to create false childhood memories’, di Kimberly Wade e Maryanne Garry, del 2002 - uno studio che racconta di come dei fotomontaggi possano indurci a creare falsi ricordi della nostra infanzia.
‘Creating False Memories’, di Elizabeth Loftus, studio comparso sullo Scientific American nel 1997, e che fu uno dei primissimi a suggerire che i nostri ricordi d’infanzia potessero essere facilmente manipolabili.
Infine, un articolo della NPR sul motivo per cui non ricordiamo nulla dei nostri primi anni di vita.
E anche per questa volta è tutto! Ci si sente più in là (o magari nei vostri ricordi, chissà 😉),
Fate i bravi! Vi vogliamo bene!
R.
No non è vero, sto solo facendo il paraculo per non ammettere di essere un pigrone.